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Gli italiani e le intercettazioni: questione di feeling

di Roberto Arditti

Il tema che sta monopolizzando pagine di giornali e salotti televisivi (ma anche le aule del Parlamento) è la Giustizia, come ben sappiamo.
O meglio: uno degli strumenti più importanti per le inchieste, cioè le intercettazioni.
Ma come la pensano gli italiani in proposito?
Ci viene in soccorso l’ultimo lavoro SWG.

 

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Emerge che la prevalenza degli italiani (oltre il 50%) è favorevole alle intercettazioni, dividendosi poi al suo interno tra chi ne vorrebbe un utilizzo più estensivo, e chi invece ritiene tutto sommato prezioso (ma sufficiente) il lavoro che svolgono allo status quo.
È come se i cittadini, nel condurre una personale analisi costi-benefici, valutassero più importante il potere investigativo delle intercettazioni piuttosto che la loro pervasività.
 
A questo si aggiunge poi un secondo dato che aggiunge spessore a questa percezione.

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C’è infatti una fetta per niente irrilevante (poco meno di un terzo) di italiani che pensa di aver subito una intercettazione nel corso della propria vita. E poco importa se questo sia vero oppure no, ciò che bisogna constatare è che pensano di essere stati intercettati. Non sono certo pochi, ma nonostante questo si arriva ai dati che abbiamo visto.
 
Questo sentimento positivo è figlio di trent’anni di bombardamento mediatico contro la casta? Può darsi.
Oppure è espressione di una sana volontà di combattere il crimine in qualsiasi forma? È possibile.
Probabilmente contano tutti e due i fattori.
Vedremo che piega prenderà il dibattito e fino a che punto si spingeranno i cambiamenti.
Però intanto sappiamo come la pensano gli italiani.
E non è poco.