di Luigi Adriano Tonizzo
L’8 marzo è passato, e così la giornata della donna.
È bene però non limitare i ragionamenti a 1 di 365 ma anzi farne pretesto per affrontare con mente lucida e sguardo distaccato una tematica così complessa (e urgente).
Proprio per questo è utile soffermarsi subito sui dati settimanali rilevati da SWG che per l’occasione ha intervistato un campione rappresentativo di donne.
Ciò che si nota subito osservando questi numeri è una notevole differenza intergenerazionale sulla capacità femminile di autodeterminarsi.
Le giovani della Gen Z, infatti, si sentono più “ingabbiate” dalla società e dagli standard che essa propone rispetto alle donne adulte. Ed è così soprattutto per quegli elementi più genericamente estetici (e di forma) come bellezza, educazione e allegria, dove addirittura questo pensiero è prevalente.
Con la consapevolezza che si tratti di argomento complesso e dalle molteplici sfumature, un ragionamento può essere fatto spostando l’attenzione dal soggetto (le donne) al complemento di causa efficiente (la società).
Le donne adulte, infatti, hanno sempre vissuto all’interno di una società “reale”, dove il paragone estetico era rappresentato dalle altre donne che si potevano incontrare durante una passeggiata per le vie cittadine. Persone normali per l’appunto.
Mentre per le giovani donne non è così, per loro società equivale a Instagram e TikTok (o almeno gran parte di essa). E i social, per loro natura, alzano la qualità del confronto, ma soprattutto ne aumentano la quantità, la frequenza con la quale si viene esposti alla “bellezza”.
Ecco che allora se si modifica il significato di società, inevitabilmente cambia la percezione delle donne sulla loro capacità di autodeterminarsi, e i social sono i primi dei colpevoli. Friedrich Nietzsche direbbe “Dio è morto”.