di Luigi Adriano Tonizzo
I giovani italiani sono tra i più pessimisti d’Europa.
A dirlo è il rapporto dell’Eurofound, agenzia europea per il miglioramento delle condizioni di vita e del lavoro, che ci posiziona al quinto posto dietro solamente a Spagna, Polonia, Cipro e Grecia.
E lo sono in particolare per il lavoro, con una percentuale di NEET sempre più alta e una sfiducia totale nella capacità di invertire questo trend.
Come se non bastasse è arrivata l’Intelligenza Artificiale, accompagnata da una narrazione quasi terroristica che la dipinge come in grado da qui a pochi anni di stravolgere il nostro mondo (in peggio) creando una società in cui gli esseri umani saranno sempre più destinati a starsene a casa seduti sul divano (magari con un reddito di cittadinanza 2.0).
Ma facciamo un passo indietro guardando ai dati SWG di questa settimana che proprio sull’IA ha interrogato gli italiani.
I numeri confermano di fatto come questo racconto pessimistico sull’IA stia funzionando, con la maggior parte degli italiani (Boomers in primis) convinti che questa nuova tecnologia cancellerà molti tipi di mestieri, rendendoci sempre più dipendenti dalle macchine.
C’è, però, un grande ma. Ed è che quelli che dovrebbero, visto la premessa fatta, essere più rassegnati in tal senso (ovvero i giovani) sono invece i più ottimisti.
Le nuove generazioni guardano all’IA con gli stessi occhi con cui un bambino guarda ad un Lego (gioiosi e interessati a capirne il funzionamento), che sia nella sua veste di strumento al servizio dell’uomo per mestieri più faticosi oppure per un aumento della qualità di prodotti e servizi.
Il perché di quello che potrebbe sembrare un cortocircuito è presto detto.
I giovani hanno saputo navigare la più grande rivoluzione degli ultimi 20 anni (i social) inventandosi lavori impensabili e opportunità, e sono convinti che saranno in grado di farlo anche con l’IA.
La cosa certa di questo strano XXI secolo è che le nuove generazioni hanno (davvero) poche certezze, e una di queste è senz’altro il loro rapporto con la tecnologia. E allora, forse, può essere questa la chiave giusta (se non l’unica) per tentare di diffondere un nuovo ottimismo tra i giovani.